
I DATI
Un impegno concreto per la cooperazione, l’obiettivo dello 0,70
In collaborazione con openpolis

1. La cooperazione e l’aiuto pubblico allo sviluppo
Quando si parla di cooperazione allo sviluppo non si sta usando un termine generico per riferirsi agli aiuti che alcuni stati forniscono ai paesi a basso e medio reddito. Si tratta invece di un settore ben strutturato di politica pubblica, in cui è definito nel dettaglio quali tipi di fondi possono essere considerati cooperazione, e che prevede obiettivi molto concreti. Il più noto è quello di destinare lo 0,70% del reddito nazionale lordo al settore dell’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps/Rnl) entro il 2030.
Chi stabilisce che cos’è l’aiuto pubblico allo sviluppo
Se con il termine “cooperazione” ci si riferisce genericamente a qualsiasi attività di collaborazione tra paesi e/o organizzazioni, la cooperazione allo sviluppo riguarda invece quelle attività e iniziative volte a perseguire il miglioramento delle condizioni socio-economiche in aree ancora a basso tasso di sviluppo. Quando la cooperazione allo sviluppo è perseguita attraverso il solo impiego di risorse pubbliche, nell’ambito di specifici accordi internazionali, si parla invece di aiuto pubblico allo sviluppo (Aps).
La materia è disciplinata in Italia attraverso la legge 125/2014. Tuttavia, come accennato, la definizione di dettaglio di cosa può essere considerato Aps è stabilita a livello internazionale. In particolare è il comitato Dac (Development assistance committee) dell’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) a stabilire questi criteri attraverso apposite “reporting directives“.
L’Italia, assieme ad altri 29 paesi e l’Unione europea, fa parte del comitato Ocse Dac fin dalla sua nascita nel 1960. In effetti la sua prima riunione, tenutasi a Washington fu presieduta proprio dall’ambasciatore italiano presso le Nazioni unite, Egidio Ortona. In quella fase l’obiettivo del comitato era principalmente quello di migliorare le informazioni sui fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo. Allora tuttavia non esisteva una definizione univoca di aiuto pubblico allo sviluppo, che sarebbe stata poi proposta proprio dal comitato Ocse Dac circa 10 anni dopo (prima nel 1969 e poi ulteriormente specificata nel 1972).
Per questa ragione possono essere considerati aiuto pubblico allo sviluppo solo i fondi dei paesi donatori che fanno parte del comitato Ocse Dac. Anche altri paesi desinano una parte delle proprie risorse alla cooperazione allo sviluppo. Tuttavia non adottando i criteri stabiliti dall’Ocse le loro risorse non possono essere confrontate con l’Aps propriamente definito.
L’aiuto pubblico allo sviluppo dei paesi membri del comitato Ocse Dac tra il 1960 e il 2020.
DESCRIZIONE
Tra il 1960 e il 2020 i fondi per la cooperazione sono aumentati in modo relativamente costante. Negli ultimi anni, tuttavia, abbiamo assistito a una sostanziale stagnazione di questi importi, anche se nel 2020, stando ai dati preliminari, si osserva un leggero aumento, grazie al quale i fondi destinati complessivamente all’Aps hanno raggiunto il loro massimo storico.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: lunedì 11 Ottobre 2021)
DA SAPERE
All’interno dell’Ocse opera il comitato per l’aiuto allo sviluppo, noto con l’acronimo inglese “Dac” (development assistance committee). Fanno parte di questo comitato 30 membri tra cui l’Italia e l’Unione europea. Le cifre indicate sono in milioni di dollari a prezzi costanti e per il 2020 riportano i dati preliminari Ocse.
L’obiettivo dello 0,70
Tra il 1960 e il 2020 i fondi per la cooperazione sono aumentati in modo relativamente costante. Negli ultimi anni, tuttavia, abbiamo assistito a una sostanziale stagnazione di questi importi, anche se nel 2020, stando ai dati preliminari, si osserva un leggero aumento, grazie al quale i fondi destinati complessivamente all’Aps hanno raggiunto il loro massimo storico.
Questa crescita, tuttavia, è stata troppo lenta e troppo modesta per poter raggiungere gli obiettivi che, adottando il rapporto Pearson, i membri del comitato Ocse Dac si erano posti sin dal 1970 e che ritenevano di poter raggiungere nei successivi 5 o 10 anni al più tardi.
We therefore recommend that each aid-giver increase commitments of official development assistance to the level necessary for net disbursements to reach 0.70 per cent of its gross national product by 1975 or shortly thereafter, but in no case later than 1980.
Dopo 61 anni tuttavia l’obiettivo dello 0,70% Aps/Rnl rimane ancora lontano, e sono pochi i membri del comitato Ocse Dac ad aver raggiunto questo traguardo.
0,32% il rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo dei paesi Dac e il loro reddito nazionale lordo complessivo.
L’Italia scende al ventesimo posto tra i paesi donatori
La classifica dei paesi Ocse Dac per fondi destinati alla cooperazione in rapporto alla ricchezza nazionale (2020)
FONTE: Elaborazione openpolis su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: mercoledì 25 Agosto 2021)
Dal 1970 ad oggi, infatti, si sono ripetuti più volte gli impegni a raggiungere questo traguardo, ma in pochi hanno dato seguito alla parola data. Nel 2005 ad esempio i 15 paesi membri dell’Unione europea si riproposero di raggiungere questo obiettivo entro il 2015.
Più di recente le Nazioni unite hanno riproposto questo traguardo inserendolo nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (Sdg 17.2). L’Agenda si compone di vari obiettivi e sotto obiettivi a cui sono tenuti a concorrere per la prima volta tutti i paesi, in base alle loro capacità e ad una differenziata, ma comune responsabilità. Lo scopo è quello di contribuire allo sviluppo globale, attraverso la realizzazione di un’agenda profondamente trasformativa finalizzata a promuovere il benessere umano e proteggere l’ambiente.
L’Aps italiano, un percorso accidentato
L’Italia oggi è ben distante dal raggiungimento dell’obiettivo. Per alcuni anni avevamo assistito a una crescita considerevole dell’Aps italiano, ma tra il 2018 e il 2020 i risultati raggiunti sono sfumati e si è tornati ai livelli di 5 anni prima.
I fondi della cooperazione italiana fermi ai livelli del 2015
Il rapporto Aps/Rnl raggiunto dall’Italia tra 2015 e 2020.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: mercoledì 28 Luglio 2021)
Oltre all’aumento dei fondi, la ragione che nel 2017 spingeva a un cauto ottimismo era anche legata al fatto che l’Italia sembrava star rispettando la tabella di marcia che si era proposta per raggiungere lo 0,70 entro il 2030.
Nel 2015 infatti il governo Renzi stabilì un traguardo intermedio da raggiungere entro il 2020, ovvero lo 0,30% Aps/Rnl. Questo traguardo in effetti venne raggiunto nel 2017. Un risultato importante anche se presentava diverse criticità legate ai fondi per i rifugiati rendicontati come aiuto pubblico allo sviluppo.
Negli anni successivi i diversi governi che si sono succeduti hanno continuato a confermare la validità dell’obiettivo intermedio. Tuttavia nel frattempo il dato è di volta in volta calato e nel 2019, così come nel 2020, si è assestato su cifre ben distanti da quelle auspicate.
0,22% il rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo italiano nel 2020.
Anche per questo oggi è fondamentale che l’Italia rilanci il proprio impegno per raggiungere lo 0,70% Aps/Rnl, prevedendo magari dei nuovi traguardi intermedi, in modo che negli anni lo sviluppo della strategia italiana di cooperazione possa essere correttamente monitorato.
La cooperazione e i paesi a più basso tasso di sviluppo
Un altro obiettivo previsto sia dal comitato Ocse Dac che dall’agenda per lo sviluppo sostenibile riguarda invece i paesi a più basso tasso di sviluppo. Una categoria nota come Least developed countries (Ldcs).
Nonostante questo impegno però, solo 4 paesi nel 2019 avevano raggiunto o superato l’obiettivo di destinare lo 0,15% del Rnl agli Ldcs. Anche su questo piano l’Italia si trova molto indietro. Sono ormai molti anni infatti che il nostro paese mantiene una quota di Aps rivolta agli Ldcs pari allo 0,06% del reddito nazionale. Un valore ben al di sotto degli impegni internazionali assunti. E questo nonostante la maggior parte dei paesi ritenuti prioritari dalla cooperazione italiana sia incluso nella lista degli Ldcs.
Non aumentano i fondi italiani destinati ai paesi a basso reddito
La classifica dei paesi Ocse Dac per fondi destinati ai paesi Ldcs rispetto al Reddito nazionale lordo (2019).
FONTE: Elaborazione openpolis su dati Ocse (ultimo aggiornamento: lunedì 15 Marzo 2021)
2. I canali della cooperazione italiana
Come abbiamo visto i fondi dell’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) sono l’insieme delle risorse che possono essere classificate come Aps secondo i criteri del comitato Dac dell’Ocse. Si tratta di un insieme piuttosto eterogeneo composto in larga parte da fondi a dono (nel 2019 si trattava del 97,4% dell’Aps lordo), ma in misura minore anche da crediti concessionali (2,6%).
Per entrare un po’ più nel dettaglio su come vengono spesi i fondi per la cooperazione conviene iniziare a distinguere tra le due macro categorie che compongono l’aiuto pubblico allo sviluppo.
Il canale multilaterale
L’aiuto pubblico multilaterale è il flusso di risorse che il paese donatore destina a organizzazioni internazionali specializzate in cooperazione per svolgere attività volte a promuovere lo sviluppo. Si tratta ad esempio delle agenzie delle Nazioni Unite per la sicurezza alimentare come la Fao e il World Food Programme o di fondi globali per la lotta all’Hiv e alle pandemie. A loro volta i fondi destinati a queste organizzazioni possono essere distinti tra contributi obbligatori, necessari per far parte dell’organizzazione multilaterale in questione, e fondi volontari.
Esiste poi una terza classificazione nota come aiuto pubblico multi-bilaterale e riguarda i contributi volontari che un paese può allocare a un’organizzazione internazionale specificando il paese o la regione ricevente, lo scopo e i termini del contributo, indicando in alcuni casi anche gli altri attori che poi li realizzeranno. Questa forma di aiuto, che presenta aspetti sia del canale bilaterale che di quello multilaterale, è contabilizzato dall’Ocse all’interno del canale bilaterale.
I principali attori del canale multilaterale italiano
I fondi italiani per la cooperazione destinati all principali organizzazioni multilaterali tra il 2017 e il 2020
I principali destinatari dei fondi del canale multilaterale della cooperazione italiana sono le agenzie delle Nazioni unite, le istituzioni europee, la banca mondiale e le banche regionali di sviluppo. In particolare però è alle istituzioni europee che l’Italia devolve la maggior parte delle risorse. Nel 2020 si è trattato di 1,76 miliardi di euro, ovvero il 65,5% del canale multilaterale italiano.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Ocse. (ultimo aggiornamento: mercoledì 13 Ottobre 2021)
A differenza degli importi destinati al canale bilaterale (ovvero il flusso diretto di risorse che va dal paese donatore al paese ricevente), che possono essere determinati di anno in anno in sede di legge di bilancio, i fondi del canale multilaterale sono decisamente più stabili. Infatti, il loro ammontare viene definito attraverso accordi internazionali tra l’Italia e le organizzazioni internazionali alle quali partecipa. Le fluttuazioni che si verificano tra un anno e un altro, dunque, dipendono in larga parte dalle annualità concordate per il rifinanziamento delle diverse istituzioni multilaterali. Le tendenze pluriennali invece riflettono decisioni politiche che si esprimono nel medio periodo. E guardando ai dati dal 1960 al 2020 emerge da questo punto di vista una crescita graduale e costante.
Il canale multilaterale è dunque un elemento di stabilità dell’Aps italiano. Stabilità che appare invece del tutto estranea nel caso del canale bilaterale, molto più esposto decisioni politiche e a repentini cambi di rotta. Un altro pregio del canale multilaterale inoltre è quello di essere meno soggetto a strumentalizzazioni. Affidando le proprie risorse a organizzazioni multilaterali, infatti, non si corre il rischio di essere accusati di utilizzare la cooperazione per promuovere interessi nazionali estranei a quelli della cooperazione stessa.
L’aiuto bilaterale e quello multilaterale dell’Italia, dal 1960 al 2020
Il confronto tra le due componenti dell’aiuto pubblico allo sviluppo e il loro andamento nel tempo (1960-2020)
FONTE: elaborazione openpolis su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: giovedì 2 Settembre 2021)
Attraverso il canale multilaterale dunque l’Italia lascia che siano delle organizzazioni terze a gestire la maggior parte delle risorse destinate alla cooperazione. Da questo punto di vista quindi non può certo essere accusata di “bilateralizzazione dell’aiuto”, ovvero l’utilizzo dell’Aps per scopi relativi all’interesse nazionale che in alcuni casi possono esulare dagli scopi propri della cooperazione. Critica invece molto frequente per altri paesi. Allo stesso tempo però l’Italia non sembra in grado di far valere il proprio contributo per orientare le scelte delle organizzazioni multilaterali di cui è parte, assumendo una posizione di rilievo.
Il canale bilaterale e la componente dei rifugiati
Il canale bilaterale rimane comunque un componente centrale della nostra cooperazione. È del tutto legittimo che ciascun paese decida di gestire in proprio una parte della cooperazione, magari privilegiando alcune aree geografiche per ragioni di prossimità o per un particolare legame con il paese ricevente. Inoltre è in particolare attraverso il canale bilaterale che si può sostenere il contributo offerto dalle Ong italiane attraverso i loro progetti per la lotta alla povertà e per lo sviluppo sostenibile. Le organizzazioni della società civile infatti sono un settore molto sviluppato nel nostro paese, dotato di grandi competenze, esperienze e relazioni di partnership, chiaramente orientate verso fini generali di carattere sociale e ambientale.
Se da un lato un forte impegno multilaterale è almeno in teoria un dato positivo, è importante che anche il settore bilaterale sia adeguatamente finanziato e soprattutto che il finanziamento avvenga in maniera programmata e coerente con le scelte italiane in ambito di politica di cooperazione.
Eppure i fondi del canale bilaterale sono apparsi in questi anni decisamente instabili.
-63,03% il calo percentuale dei fondi destinati al canale bilaterale tra 2017 e 2020.
Ma anche il canale bilaterale è un insieme complesso di voci molto diverse tra loro. In particolare in questo insieme rientrano quelle voci che Concord Europa chiama ormai da molti anni “aiuto gonfiato”.
In questa categoria rientrano alcune componenti del canale bilaterale come:
- la formazione e le borse di studio agli studenti stranieri nel paese donatore;
- le azioni di cancellazione o conversione del debito;
- l’aiuto legato (ovvero vincolato a qualche forma di contropartita);;
- le spese per i rifugiati nel paese donatore.
Per quanto riguarda l’Italia, e in particolare gli anni tra il 2015 e il 2018, è stata proprio la componente relativa alle spese per i rifugiati ad avere un impatto sostanziale sull’ammontare complessivo dei fondi della cooperazione.
30,8% il peso della spesa per i rifugiati nel paese donatore sul totale dell’Aps italiano nel 2017 (60,6% del canale bilaterale).
L’Italia e il rapporto Aps/Rnl nelle sue principali componenti (2015-2020)
FONTE: elaborazione openpolis su dati Ocse (ultimo aggiornamento: giovedì 16 Settembre 2021)
A partire dal 2018 tuttavia, con la riduzione del numero di arrivi di migranti in Italia si è andata anche riducendo la spesa sostenuta e rendicontata per l’accoglienza dei rifugiati. In quella fase l’auspicio era che con una progressiva riduzione della spesa per l’accoglienza, quegli stessi fondi potessero essere reindirizzati in progetti di cooperazione veri e propri, ovvero quelli noti come “aiuto genuino”.
Il canale bilaterale genuino
Purtroppo, questo trasferimento di risorse non c’è stato. In effetti se si osserva il canale bilaterale al netto della spesa per i rifugiati emerge innanzitutto come questo sia sostanzialmente costante negli ultimi anni.
0,05% il rapporto tra aiuto bilaterale al netto della spesa per i rifugiati e reddito nazionale lordo nel 2015, 2018, 2019 e 2020.
Questo è vero in particolare se si guarda ai dati in termini relativi rispetto al totale dell’Aps. Guardando invece alle cifre in termini assoluti gli importi destinati al canale bilaterale al netto della spesa per i rifugiati sono addirittura calati passando da poco meno di 1,2 miliardi di dollari nel 2017 a 860 milioni nel 2020.
-27,86% il calo dell’aiuto bilaterale al netto della spesa per i rifugiati tra 2017 e 2020.
L’aiuto pubblico allo sviluppo al netto della spesa per i rifugiati
L’aiuto pubblico allo sviluppo italiano al netto della voce di spesa “rifugiati nel paese rifugiato” ovvero la principale componente dell’aiuto gonfiato.
FONTE: Elaborazione openpolis su dati Ocse (ultimo aggiornamento: venerdì 28 Maggio 2021)

Foto Credit: Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo
3. L’aiuto umanitario tra vecchie e nuove emergenze
L’aiuto umanitario è una delle attività che, secondo i criteri Ocse, possono essere rendicontate come aiuto allo sviluppo. Tuttavia, si tratta di un settore particolare con caratteristiche proprie che lo distinguono dalle politiche di cooperazione. Infatti, se la politica di cooperazione ha l’obiettivo di sostenere a medio termine i paesi a basso e medio reddito, l’aiuto umanitario risponde invece a una logica emergenziale.
L’aiuto umanitario è attuato secondo i principi del diritto internazionale in materia, in particolare quelli di imparzialità, neutralità e non discriminazione, e mira a fornire assistenza, soccorso e protezione alle popolazioni di Paesi in via di sviluppo, vittime di catastrofi.
Il suo scopo è quindi quello di rispondere a delle crisi causate da conflitti o disastri naturali ovunque questi si verifichino. Ovviamente però l’emergere di crisi umanitarie in territori e paesi a basso e medio reddito pone la questione di come legare l’intervento di emergenza a una strategia che garantisca le successive fasi di ricostruzione e sviluppo.
L’assistenza umanitaria globale
Ogni anno Development Initiatives analizza i dati sull’assistenza umanitaria globale includendo sia fondi privati sia fondi pubblici provenienti da paesi membri del comitato sviluppo (Dac) dell’Ocse, da paesi non membri e dalle istituzioni europee.
Considerando questo aggregato emerge come fino al 2018 i fondi complessivi destinati all’aiuto umanitario siano cresciuti in maniera considerevole. Tra 2018 e 2020 però questa crescita si è arrestata e anzi ha subito un leggero calo.
-1,28% Il calo dei fondi destinati all’aiuto umanitario globale tra 2018 e 2020.
L’aiuto umanitario globale pubblico e privato tra 2016 e 2020
L’assistenza umanitaria globale derivante da fondi pubblici provenienti da paesi membri del comitato sviluppo (Dac) dell’Ocse, da paesi non membri e dalle istituzioni europee.
FONTE: Development Initiatives (ultimo aggiornamento: mercoledì 20 Ottobre 2021)
Ad essere calati sono in particolare i fondi pubblici (-4,1% tra 2018 e 2019). Ma anche i fondi privati hanno smesso di crescere rimanendo sostanzialmente stagnanti negli ultimi 3 anni.
Gli appelli delle Nazioni unite
Eppure nel corso di questi anni non si sono ridotti né il numero di crisi umanitarie né tanto meno i fondi necessari ad affrontarle. Stando ai dati degli appelli coordinati delle Nazioni unite nel 2020 sarebbero serviti quasi 40 miliardi di dollari per rispondere efficacemente alle crisi umanitarie. Alla situazione precedente infatti, nel 2020 si è aggiunto il coronavirus ad aggravare o generare nuove crisi. Mentre al contempo continua a crescere il numero di disastri naturali causati dal cambiamento climatico.
$ 38,8 mld i fondi necessari a rispondere alle crisi umanitarie nel 2020 stando agli Un coordinated appeals.
Negli ultimi 10 anni questo dato è cresciuto in maniera drammatica. E anche se mancano sempre quote considerevoli per raggiungere l’obiettivo dichiarato è importante riconoscere che tra 2011 e 2019 sono cresciti considerevolmente anche i fondi destinati a rispondere a questi appelli. Tra 2019 e 2020 però questa crescita si è sostanzialmente interrotta mentre è aumentata gravemente la quota di richieste non soddisfatte.
$ 18,8 mld il gap tra fondi richiesti dagli appelli coordinati delle Nazioni unite e importi effettivamente raccolti nel 2020.
Dei quasi 40 miliardi richiesti nel 2020 infatti il 48,45% non sono mai stati raccolti, contro il 36,5% dell’anno precedente.
Gli Un coordinated appeals, i fondi raccolti e quelli mancanti
Nel 2020 alle crisi umanitarie affrontate fino a quel momento si è aggiunta la pandemia da Covid-19.
FONTE: Development Initiatives (ultimo aggiornamento: mercoledì 20 Ottobre 2021)
I contributi nazionali all’aiuto umanitario
Se da un lato la maggior parte dei grandi donatori hanno aumentato i fondi destinati all’aiuto umanitario nel 2020, alcuni hanno invece ridotto il loro contributo in maniera considerevole. Tra questi si trovano il Regno Unito (-30%) e diversi paesi del golfo, come l’Arabia Saudita (-53%) e gli Emirati Arabi Uniti (-39%).
$ 511 mln i fondi destinati dall’Italia all’assistenza umanitaria globale nel 2020.
I fondi italiani invece sono aumentati tra 2019 e 2020 (+17%), anche se questo non è bastato a farci uscire dalle ultime posizioni nella classifica dei maggior donatori quanto a rapporto tra aiuto umanitario e reddito nazionale lordo (Rnl).
I paesi donatori e l’assistenza umanitaria
La classifica dei maggiori contributori in assistenza umanitaria internazionale in rapporto al reddito nazionale lordo (Rnl)
FONTE: Development Initiatives (ultimo aggiornamento: venerdì 22 Ottobre 2021)
In generale comunque solo 5 contributori hanno destinato nel 2020 più dello 0,1% dell’Rnl alle crisi umanitarie. Tra questi la Turchia riporta un dato decisamente alto rispetto alla media (0,98%). Come altri paesi di questa lista però la Turchia non fa parte del comitato Ocse Dac e quindi non deve rispondere a precisi obblighi sui dati relativi alle spese umanitarie, che fornisce su base volontaria. È ben noto infatti che la gran parte degli 8 miliardi di dollari indicati come aiuto umanitario si riferiscono invece a spese sostenute in Turchia per i rifugiati.
4. L’Italia e la legge sulla cooperazione allo sviluppo
Nel 2014 il parlamento italiano ha approvato la legge 125 con la quale viene disciplinato l’intero settore della cooperazione. Si tratta di una legge organica che ha avuto sicuramente il pregio di stabilire il quadro generale della cooperazione italiana, ricevendo anche l’apprezzamento del comitato Ocse Dac attraverso le sue peer review.
Tuttavia molte parti della legge rimangono a oggi non applicate o applicate solo in parte. E questo nonostante l’incipit della legge stabilisca esplicitamente la centralità di questo tema nella politica estera italiana.
La cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la pace, di seguito denominata «cooperazione allo sviluppo», è parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia.
L’indirizzo politico definito dalla legge 125
Questa centralità peraltro viene ribadita anche in termini simbolici nell’articolo 3 della legge 125 con cui il nome del ministero degli esteri è stato modificato in “ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale” (Maeci).
Da un punto di vista più concreto invece sono diverse le novità previste dalla norma che pongono, o dovrebbero porre, il tema della cooperazione al centro della politica estera italiana.
Per quanto riguarda i vertici politici del ministero ad esempio, la legge prevede che a uno dei sottosegretari agli esteri sia conferita la carica di viceministro alla cooperazione. L’attribuzione di questa carica non è una questione marginale. Intanto perché si tratta dell’unico caso in cui è obbligatoria l’attribuzione di questa qualifica. In tutti gli altri ministeri infatti la nomina di un viceministro è una decisione strettamente politica, che peraltro deve tenere conto di un limite massimo previsto per il numero di viceministri.
Inoltre contrariamente ai sottosegretari, a un viceministro deve necessariamente essere attribuita la delega a una o più direzioni generali, in questo caso la direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. In aggiunta può partecipare, senza diritto di voto, alle sedute del consiglio dei ministri quando vengono affrontati temi di sua competenza. Il viceministro dunque diventa il responsabile politico diretto sul tema della cooperazione, e quindi un interlocutore fondamentale per chi opera in questo settore. Detto questo però è bene precisare che la legge stabilisce anche alcune prerogative generali del ministro in tema di cooperazione.
1. La responsabilità politica della cooperazione allo sviluppo è attribuita al ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che ne stabilisce gli indirizzi e assicura l’unitarietà e il coordinamento di tutte le iniziative nazionali di cooperazione […].
2. Al ministro […] sono attribuiti il controllo e la vigilanza sull’attuazione della politica di cooperazione allo sviluppo nonché la rappresentanza politica dell’Italia nelle sedi internazionali e dell’Unione europea competenti in materia […].
I tre pilastri della cooperazione
Dal punto di vista amministrativo invece, particolarmente rilevante è stata la creazione dell’agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) e la conseguente riduzione di competenze e organico della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs).
Da un lato dunque la Dgcs coadiuva l’attività del ministro e del viceministro nella definizione degli indirizzi politici in tema di cooperazione.
Dall’altro l’agenzia, in qualità di ente esterno al ministero dotato di autonomia, svolge sulla base degli indirizzi politici le attività di carattere tecnico-operativo relative a tutto il processo che porta alla realizzazione concreta delle iniziative di cooperazione: dalla fase istruttoria fino al finanziamento e al controllo. L’agenzia inoltre fornisce assistenza e supporto tecnico alle altre amministrazioni pubbliche coinvolte in progetti di cooperazione.
A 6 anni dall’approvazione della legge l’agenzia per la cooperazione è ancora sotto organico.
Nonostante queste importanti previsioni però l’agenzia risulta a oggi non completamente operativa. Nonostante un concorso indetto a giugno 2020 infatti, il personale di questa struttura risulta a oggi ancora molto sottodimensionato. Un problema questo che pone dei limiti alle sue capacità operative e che rischia di riflettersi negativamente in particolare sui progetti finanziati attraverso il canale bilaterale.
Oltre a queste due istituzioni fondamentali per la definizione e l’attuazione della politica di cooperazione, è da considerare anche un terzo pilastro, quello finanziario. In questo settore è a Cassa depositi e prestiti spa (Cdp) che la legge ha attribuito il ruolo cruciale di “istituzione finanziaria per la cooperazione internazionale allo sviluppo” (art. 22). Ruolo da cui deriva, tra le altre cose, il compito di erogare crediti concessionali (art. 8).
Infine vale la pena di menzionare il ruolo svolto dal ministero dell’economia e delle finanze, sia perché detiene il controllo di Cdp, ma ancor più come primo gestore delle risorse italiane per la cooperazione. È questo ministero infatti che eroga la maggior parte delle risorse, in particolare per quanto riguarda il canale multilaterale.
Il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, cura le relazioni con le banche e i fondi di sviluppo a carattere multilaterale e assicura la partecipazione finanziaria alle risorse di detti organismi
Il comitato interministeriale e il documento triennale
Per il coordinamento delle diverse attività di cooperazione la legge ha inoltre istituito il comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (art. 15). Il comitato è composto dal presidente del consiglio, che lo presiede, dal ministro degli esteri, con funzioni di vicepresidente, dal vice ministro con delega alla cooperazione e dai ministri dell’interno, della difesa, dell’economia, dello sviluppo economico, delle politiche agricole, dell’ambiente, delle infrastrutture, del lavoro, della salute, dell’istruzione e dell’università.
Tra i compiti del comitato rientra l’approvazione preliminare del documento triennale di programmazione e di indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo che il consiglio dei ministri deve deliberare annualmente. Tale documento per gli anni 2021-2023 è stato approvato dal comitato il 15 ottobre 2021 come anche la relazione annuale sulle politiche di cooperazione 2019.
In questi anni il documento triennale di programmazione è sempre stato pubblicato con grande ritardo e in alcuni casi non è proprio stato pubblicato.
Si tratta indubbiamente di una buona notizia, anche se tardiva. La legge infatti stabilisce che il documento sia approvato entro il 31 marzo. Ma nel corso di questi anni i ritardi sono stati anche molto più consistenti e in alcuni casi il documento non è proprio stato varato. Il documento triennale 2018-2020 ad esempio non è mai stato pubblicato, mentre quello 2019-2021 è stato approvato solo a giugno 2020. Dunque con la recente approvazione della versione 2021-2023 si deduce che anche il documento relativo al triennio 2020-2022 non sarà mai pubblicato.
La decisione di saltare un’annualità, nonostante le previsioni di legge, può anche essere condivisa. Lo scopo infatti dovrebbe essere quello di pubblicare documenti di programmazione, riferiti quindi alle annualità future e non a quelle passate. Questo però a patto che da questo momento si presti maggiore attenzione all’approvazione dei documenti triennali nei tempi previsti.
Inoltre date le difficoltà a pubblicare questi documenti rispettando le tempistiche stabilite dalla legge sarebbe forse da considerare una modifica alla normativa. Piuttosto che produrre ogni anno un documento triennale infatti si potrebbe pensare di pubblicare questo documento ogni 3 anni, magari rilasciando una relazione annuale di aggiornamento. In questo modo gli organi preposti avrebbero più tempo per formulare nuove strategie e valutare l’andamento di quelle in corso.
La mancata deliberazione del documento triennale peraltro ha un impatto anche sul controllo democratico delle attività di cooperazione. A parte le competenze generali in tema di politica estera infatti, il ruolo esplicitamente attribuito dalla legge alle commissioni parlamentari è proprio quello di esprimere un parere sullo schema di documento triennale (art. 13).
Gli altri organi di coordinamento
Un altro organo istituito dalla legge 125 è il comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo (art. 21). Questo comitato è presieduto dal ministro degli esteri o dal viceministro e comprende il direttore generale della cooperazione e il direttore dell’Aics. Tra i suoi compiti ci sono quello di definire la programmazione annuale con riferimento a paesi e ad aree d’intervento, oltre che deliberare su impegni di spesa di valore superiore a 2 milioni di euro.
Infine, la conferenza pubblica nazionale e il consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo (art. 16). La prima è convocata ogni tre anni con lo scopo di favorire la partecipazione dei cittadini nella definizione delle politiche di cooperazione allo sviluppo. Il secondo invece deve riunirsi almeno annualmente. Una formula che sembra auspicare una maggiore frequenza di queste riunioni, stabilendo un minimo indispensabile. Ciò nonostante nel 2020 e nel 2021 il consiglio si è riunito una sola volta e la convocazione precedente era stata quasi 2 anni e mezzo prima.
La legge ha previsto uno spazio per includere la società civile nel processo di formazione della strategia di cooperazione.
Il consiglio nazionale è composto dai principali soggetti pubblici e privati, profit e non-profit, coinvolti nella cooperazione internazionale allo sviluppo tra i quali: i rappresentanti dell’Aics, dei ministeri, delle Regioni e degli enti locali ma anche i componenti delle principali reti di organizzazione della società civile, delle università e del mondo imprenditoriale. Si tratta sostanzialmente di un organo consultivo, creato per favorire la partecipazione dei cittadini alle politiche di cooperazione. I suoi componenti infatti sono chiamati a esprimere pareri su tutti i temi legati alle politiche italiane di cooperazione.
Gli attori della cooperazione
Sono 4 le categorie di soggetti considerati dalla legge come parte del sistema di cooperazione (art. 23 e seguenti):
- le amministrazioni dello stato, le università e gli enti pubblici;
- le regioni, le province autonome e gli enti locali;
- le organizzazioni della società civile e gli altri soggetti senza finalità di lucro;
- i soggetti con finalità di lucro, qualora agiscano con modalità conformi ai principi della legge 125.
La legge dunque riconosce e valorizza il ruolo delle organizzazioni della società civile.
L’Italia promuove la partecipazione alla cooperazione allo sviluppo delle organizzazioni della societa’ civile e di altri soggetti senza finalita’ di lucro, sulla base del principio di sussidiarietà.
Tra queste rientrano le organizzazioni non governative (Ong), gli enti del terzo settore statutariamente finalizzati alla cooperazione allo sviluppo, le organizzazioni di commercio equo e solidale, le associazioni delle comunità di immigrati che mantengano rapporti con i paesi di origine e altri tipi di organizzazioni che abbiano tra i loro fini statutari la cooperazione allo sviluppo.
5. La società civile come attore della cooperazione
Le organizzazioni della società civile (Osc) sono attori chiave in questo settore visto che in gran parte dei casi sono proprio queste realtà a realizzare concretamente i progetti sul campo.
Si tratta di un mondo articolato e plurale in cui si trovano soggetti più e meno grandi, ognuno dei quali partecipa con i propri mezzi e in termini pratici all’attuazione della politica italiana di cooperazione allo sviluppo.
Per avere un quadro di chi sono questi soggetti, quali sono i loro bilanci, quante persone impiegano in Italia e all’estero e quali sono le loro aree d’intervento Open cooperazione è una preziosa fonte di dati e informazioni.
Le Osc e la trasparenza
Sono oltre 200 le Osc della cooperazione che partecipano al progetto Open cooperazione, fornendo ogni anno i propri dati in modo da favorire il processo di trasparenza. Certo i dati non coprono il 100% del settore, ma una parte considerevole, includendo peraltro tutti i maggiori soggetti.
D’altronde la trasparenza non è solo una buona pratica per le Osc ma un giusto obbligo previsto per legge. In particolare la legge 125/2014 ha previsto che per ricevere finanziamenti le Osc della cooperazione debbano dimostrare di possedere le competenze e l’esperienza necessaria per potersi iscrivere a un apposito elenco sottostando poi a specifici obblighi di trasparenza.
Questi ultimi sono tenuti a rendicontare, per via telematica, i progetti beneficiari di contributi concessi dall’Agenzia e le iniziative di cooperazione allo sviluppo la cui realizzazione è stata loro affidata dalla medesima. I finanziamenti sono erogati per stati di avanzamento, previa rendicontazione delle spese effettivamente sostenute, oppure anticipatamente, dietro presentazione […] di idonea garanzia.
In ogni caso, indipendentemente dagli obblighi di legge, dimostrare un alto livello di trasparenza è un elemento importante per organizzazioni le cui entrate derivano sia da finanziamenti pubblici che da contributi dei privati.
Per questo su Open cooperazione i dati delle organizzazioni aderenti sono messi a disposizione sia a livello di dettaglio, nella scheda di ciascun aderente, sia in termini aggregati, in modo da fornire una panoramica sul settore nel suo complesso.
I bilanci delle organizzazioni
Negli ultimi anni il bilancio economico delle organizzazioni aderenti a Open cooperazione ha seguito una crescita continua, nonostante le campagne di delegittimazione iniziate nel 2017 legate in particolare ai temi delle migrazioni e dell’accoglienza.
+24,1% la crescita del bilancio economico delle Osc aderenti a Open cooperazione tra 2016 e 2019.
Certo negli anni la crescita è andata riducendosi e mentre tra 2016 e 2017 si è assistito a un aumento dell’11% tra 2018 e 2019 ci si è limitati a un +3,6%. Un dato comunque positivo, sia in termini generali sia in considerazione delle campagne politico mediatiche che hanno additato le Ong come “taxi del mare”, tentando così di sminuirne la professionalità e l’operato.
Le Ong della cooperazione e i loro bilanci tra 2016 e 2019
Il bilancio economico aggregato delle organizzazioni aderenti a Open Cooperazione che hanno pubblicato i dati per gli anni di riferimento.
I valori includono il bilancio economico aggregato di tutte le Ong che hanno fornito i dati a Open Cooperazione per gli anni di riferimento. Nella sezione del sito “Le risorse finanziarie della cooperazione 2019” sono invece considerati i bilanci aggregati di tutte le organizzazioni che hanno fornito dati per il 2019 ma non necessariamente per gli anni precedenti. Il valore complessivo risulta dunque più alto ed è di poco superiore a 1 miliardo di euro. È inoltre da segnalare che i valori aggregati sono soggetti a cambiamenti. Tutte le maggiori Ong italiane hanno infatti fornito i dati ma alcune realtà aderenti al progetto potrebbero aggiungersi nei prossimi mesi. Open Cooperazione è un’iniziativa autofinanziata dal mondo della cooperazione con l’obiettivo di diffondere una cultura di trasparenza e accountability.
FONTE: Open cooperazione (ultimo aggiornamento: venerdì 15 Ottobre 2021)
La cattiva pubblicità può avere effetti molto negativi sui bilanci delle Osc, visto che circa il 38% delle entrate derivano da fonti private, tra cui il 5X1000. Le organizzazioni che hanno rilasciato i dati relativi al 2019 infatti hanno raccolto attraverso il 5×1000 ben 37 milioni di euro grazie a quasi 1 milione e 200mila contributori.
Inoltre, la crescita dei bilanci delle Osc italiane è da considerare molto positiva anche in virtù del calo dei finanziamenti pubblici destinati a queste organizzazioni. Secondo i dati di OpenAid infatti i trasferimenti pubblici verso le Osc nazionali sono passati da 77,5 milioni nel 2018 a 43,4 nel 2020.
-44% il calo dei fondi destinati alle Osc italiane tra 2018 e 2020 secondo i dati di OpenAid.
I lavoratori della cooperazione
Oltre a svolgere il proprio compito per portare avanti progetti di cooperazione, le Osc di settore sono dunque una realtà economica importante in Italia che dà lavoro a oltre 25mila persone di cui l’87,9% impiegate in progetti all’estero.
Si tratta anche in questo caso di un dato che è cresciuto molto negli ultimi 4 anni (+25,4%). Un aumento anche in questo caso molto positivo a cui si associa un altro elemento interessante del mondo della cooperazione, ovvero una parità di genere quasi assoluta in quanto a personale impiegato.
47,2% la quota di donne impiegate nelle Osc che aderiscono a Open cooperazione.
Aumenta il numero di persone che lavorano per le Ong della cooperazione
Il personale impiegato nelle Ong che hanno fornito i dati a Open cooperazione per tutti gli anni di riferimento.
I valori includono le risorse umane impiegate all’estero e in Italia da tutte le Ong che hanno fornito i dati a Open Cooperazione per gli anni di riferimento. Nella sezione del sito “Le risorse umane della cooperazione 2019” sono invece considerate le risorse umane di tutte le organizzazioni che hanno fornito dati per il 2019 ma non necessariamente per gli anni precedenti. Il valore complessivo risulta dunque più alto, quasi 27mila persone. È inoltre da segnalare che i valori sono soggetti a cambiamenti. Tutte le maggiori Ong italiane hanno infatti fornito i dati ma alcune realtà aderenti al progetto potrebbero aggiungersi nei prossimi mesi. Open Cooperazione è un’iniziativa autofinanziata dal mondo della cooperazione con l’obiettivo di diffondere una cultura di trasparenza e accountability.
FONTE: Open cooperazione (ultimo aggiornamento: venerdì 15 Ottobre 2021)